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DICONO DI ME...

Visitando lo studio di Adamo Modesto di Fiorenza Gorio

L’occasione di mettere in contatto il mondo dell’arte con i cittadini per un’approfondita conoscenza
delle valenze artistiche del territorio, per promuovere l’arte contemporanea e per poter partecipare
da vicino al processo creativo dell’artista, era già stata offerta dall’associazione “Studiaperti&Artisti”
con il patrocinio del Comune di Roma - Assessorato alle Politiche culturali.

Oggi, a distanza di qualche anno, l’iniziativa si è rinnovata, nell’ambito della rassegna “Arvalia in
arte-Itinerari d’arte contemporanea”, progettata e sviluppata da un’idea di Monica Melani, direttrice
artistica del Mitreo, con lo scopo di monitorare le risorse artistiche del Municipio XV.

Grazie alla realizzazione di quest’evento, l’artista Adamo Modesto ha aperto il suo studio alla
collettività, consentendoci di esplorare, da vicino, la genesi del suo messaggio artistico e, nel
contempo, svelandoci i segreti della sua produzione. Varcare la soglia del suo laboratorio si è
rivelato come intraprendere un viaggio a ritroso alla scoperta di un mondo fantastico.

Ceramista di rilievo, allievo di maestri di fama internazionale come Cascella e Leoncillo, che hanno
decisamente contribuito alla sua formazione artistica, ha sviluppato ininterrottamente un’elaborata
ricerca polimaterica in molteplici direzioni, sperimentando numerose tecniche artistiche dalla pittura
alla scultura, dal photopainting al digitale raggiungendo risultati di grande valore.

Le sue opere, sempre orientate verso l’esaltazione della materia e dei materiali che la
compongono, rivelano l’originaria matrice scultorea e sono caratterizzate da una sintesi
compositiva strutturata attraverso accostamenti di linee, superfici, curve, successioni dinamiche.
L’artista ha ideato, recentemente, un modo del tutto originale di progettare sculture complesse,
utilizzando gli scarti del cartone ondulato, come mezzo d’espressione artistica.

Per contrapporsi ad un utilizzo consumistico e utilitaristico dei materiali d’imballaggio, percepiti in
senso negativo come qualcosa da eliminare, una volta assolta la loro funzione primaria, l’artista ne
riscopre un’ulteriore funzione riuscendo a dar vita ad autentiche e sorprendenti composizioni
artistiche.

Questo straordinario universo immaginifico, non solo rappresenta una continua evoluzione di
un’invenzione, ma fa trapelare anche un forte senso civico, finalizzato al rispetto dell’ambiente
attraverso il riutilizzo di un materiale già di per sé ecocompatibile, manifestando inoltre una
conoscenza approfondita delle caratteristiche di resistenza, leggerezza delle strutture armate a
nido d’ape del cartone, proprio come nelle strutture high-tech.

L’artista compone ed assembla segmenti rettilinei o circolari, facendo rinascere semplici pezzi di
scarto, realizzando singolari bassorilievi che rimandano a geometrie esterne, a paesaggi urbani
evocativi di un’idea di città non convenzionale, immaginata e progettata in modo poetico e creativo.

Partendo da strutture geometriche bidimensionali l’artista si espande con disinvoltura nella terza
dimensione, generando composizioni complesse, una sorta di totem tridimensionali che
richiamano opere monumentali delle civiltà del passato. Dagli assemblaggi degli elementi,
seguendo motivi compositivi che si articolano per aggiunte o sottrazioni di volume, ne derivano
combinazioni geometriche che simboleggiano fontane scultoree, torri spaziali, fantasmagorici
grattacieli, modelli futuribili d’aggregati urbani.

L’intera produzione offre innumerevoli spunti per ricominciare a pensare al tema della
valorizzazione e riqualificazione degli spazi urbani attraverso nuove opportunità d’utilizzo di
strutture a basso costo reversibili e riciclabili in sostituzione dei materiali tradizionali.
 

Le CARTOSTRUTTURE di Adamo Modesto” di Mirella Bentivoglio

La promozione estetica di un materiale povero, in piena fedeltà alle sue caratteristiche cromatiche e strutturali, iniziò, prima di tutto, con i libri futuristi di latta, negli anni Trenta; poi, con i sacchi di Burri. Con le “litolatte” marinettiane il materiale che dà forma al contenitore usa e getta di cibi, si dichiarava idoneo a costruire un contenitore di concetti, il libro; e con Burri un ruvido tessile, strappato alla funzione di tutelare merce povera come carbone e patate, rimpiazzava improvvisamente la tela del pittore soverchiandone il ruolo di supporto e ponendosi come indiscusso protagonista. Due rivoluzioni semiologiche, due avvii alla scoperta delle potenzialità espressive di qualsiasi materiale, con le sue proprietà anche simboliche e la sua disponibilità a offrirsi come nuovo mezzo di comunicazione poetica.

Queste le premesse storiche; molti qua e là i tentativi. In questi ultimi anni, un artista romano che risponde pienamente al significativo nome di Modesto ( davvero i cognomi influenzano il comportamento di chi li porta, o si tratta di magiche coincidenze?) ex ceramista, ex allievo di Leoncillo, ha rivolto il suo interesse creativo al cartone da imballo. Sulle orme di quei grandi predecessori; perché contenere, incassare, imballare, sono atti paralleli.
Come la latta e i sacchi, anche i cartoni sono materiali di secondo grado, segnati dallo stadio industriale della storia. Come la latta e i sacchi, i cartoni hanno una funzione di contenitore, protettiva; ma, a differenza dei sacchi, sono semirigidi, adatti allo scultore come i sacchi al pittore.

odesto con i cartoni compone rilievi, assemblaggi, scatole-sculture, libri-oggetto, paesaggi urbani o composizioni astratte; irradianti, a nido d’ape, o labirintiche, a segmenti. Del cartone conserva in genere il colore, così simile a quello dell’abbandonata ceramica, ma a volte lo ricopre, con vernice bianca o addirittura aurea, non tanto in omaggio al maxi orafo Pomodoro quanto forse per significare il miracolo di trasformazione di ogni opus alchemica.
Col cartone risolve anche problemi pratici. La fragilità, il peso, il costo dei trasporti.
E ne lascia bene in vista il gioco interno, quello delle pieghettature che imbottiscono le superfici.
Perché il cartone da imballo è “armato”, proprio come il cemento delle costruzioni, ma tautologicamente armato di cartone. E queste sfrangiature di ombre, che orlano i contorni delle sagome, evidenziando l’apertura dei tunnel dell’interna ondulazione, provano la veridicità di ciò che in tempi lontani mi disse Modesto: che Leoncillo aveva adottato la tecnica del sezionamento di opere di materiale argilloso non ancora cotte, perché influenzato dagli esperimenti condotti allora in questo senso dal suo allievo Modesto. Risale infatti a quegli anni l’assunzione di questo procedimento da parte del grande ceramista. La rivelazione del gioco di pieni e vuoti, la confessione di ciò che in genere rimane nascosto dall’epidermide, la visibilità delle interiora, il tutto grazie al taglio netto. Procurato ora da Modesto sui cartoni con lame, come allora sull’argilla con filo di ferro.
Ma prima di giungere ai cartoni, questo artista aveva sperimentato su molte materie, anche sul tradizionale marmo (si vedano i suoi pannelli per la Direzione dell’INPS, all’EUR) prima che il processo di, diremo, democratizzazione delle materie, di riabilitazione antiaccademica dei media quotidiani, lo allontanasse dalla pietra come dalla terra. In un certo senso, ciò che egli oggi usa ha sommato due tra i suoi primi alterni interessi: la carta di giornale e la terra. Perché ricordo, degli anni Sessanta, i sui collages di pagine stampate, la ragione appunto per cui lo avvicinai, in cerca come sempre ero di sperimentatori della scrittura, anche della scrittura trovata.
Non può quindi sorprendere che poi, dagli anni Ottanta, Modesto sia stato un pioniere della digital art. Creò cortocircuiti tra forme di architetture urbane e forme alfabetiche, e ritrovò nelle corrosioni dei muri che andava golosamente fotografando e poi digitando sul suo schermo, non solo i valori materici della perduta ceramica, ma curiose inconsce emersioni di anonime paleoscritture.
Tuttavia, la digital art metteva a tacere la sua ricca manualità plasticatrice. Ecco allora che l’uso del cartone ha riscattato le possibilità del tocco formatore, e insomma del gesto. Un ritorno diverso, personale, conclusivo, ai valori su cui si era addestrato nella sua giovinezza.

Nota critica su Adamo Modesto, Fabriano, Alla Nuova Galleria delle Arti, 2014. R. MOSCHINI,

«Nei polittici di arte sacra che spesso si presentono con strutture in legno dorato, elaborate con la
preziosità dell’arte orafa, si è presi per mano dai racconti pittorici. Questi “fumetti” il più possibile realistici,
avvicinano il fedele affinché possa leggere storie del Nuovo e del Vecchio Testamento, oltre alle particolari
caratteristiche attribuite ad un santo o santa. Nelle opere dell’artista Adamo Modesto, un fattore importante è
quello di far prevalere la componente umana, come essenza anche quando non si vede. I suoi polittici in
“Arte povera” non contengono le scene centrali in grande, corredata da altre minori, bensì i suoi scomparti
che sono tutti “a Fuoco” e armoniosamente geometrici, con ritmi creativi da spartito musicale, contengono gli
eventi che hanno la stessa importanza. Così in ogni spazio esce l’anima delle cose. Basti guardare la
riproduzione dell’opera che è qui presente; potrebbe essere lo spaccato di un edificio metropolitano che
emana un umore particolare una somma di odori, oppure la veduta aerea di un agglomerato abitativo
estremamente popoloso, perché qui non appaiono figure, ambientazioni e paesaggi di fondo, bensì la sintesi
emozionale degli avvenimenti in cui ognuno di noi può vivere. In queste sculture abitative vi si può entrare
mettendoci il proprio vissuto, non come attore ma come “persona vera” per vivere e rivivere la
spensieratezza dell’infanzia, dell’adolescenza, sino alla poesia, alle pene d’amore e ai danni segreti del
vivere. Tutto ciò è chiaramente leggibile in queste opere, tali da sollecitare il fremito di un piacere, di uno
schiaffo, di una porta che si apre o di una finta porta aperta su un altro muro che si ripete in una situazione
labirintica oppure comunicativa e geometricamente armoniosa come un giardino di Versailles. Poi in genere
ci si aspetta il colore, cosa che per Adamo è secondario, perché predilige il ritmo e la geometria pura, dalla
“sfera cosmica” al triangolo o ad altri racconti interrotti, che sono il suo “non finito”. E di nuovo, volendo
parlare di colore, ognuno di noi darà la propria colorazione perché queste opere sono “pagine in
fermentazione”, pagine di vita che trasmutano a seconda di chi affronta la lettura, così ad ognuno lascia un
profumo, una identità, un’anima. A volte si sente sfiorare il senso del “decorativo” che grazie al materiale
povero viene immediatamente riassorbito, così anche il “poverello di Assisi” avrebbe potuto apprezzare
questo ritorno alla purezza dell’immagine che offre “icone di preghiere” da leggere in vari momenti di
giornata, per potersi proiettare con il cuore e la mente fuori dello spazio che ogni giorno, spesso
arbitrariamente occupiamo con i nostri corpi e le pesanti proiezioni delle nostre ombre.

Ho volutamente letto da parte le sculture fatte di ingranaggi che presentano un che di magico. Gli ingranaggi di ipotetici orologi sono fermi. E’ l’idea di fermare il tempo e, Adamo in queste opere ci è riuscito».

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